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Vittorio Pellegrini, ex direttore dei Graphene Labs di IIT, risponde una volta per tutte a una domanda che ci facciamo da anni. E spiega perché la ricarica a induzione sarebbe da evitare

Prima da 10W, poi da 20, da 30, da 65 e anche da 120: negli ultimi 2-3 anni abbiamo assistito a una crescita costante della potenza degli alimentatori per smartphone. Maggiore è la quantità di watt erogati, più rapida sarà la ricarica della batteria del telefonino: in alcuni casi si arriva da 0 al 100% anche in meno di 20-30 minuti, un risultato incredibile e che sino a poco tempo fa sembrava impensabile.

Ogni volta ci stupiamo di questo prodigio, e ogni volta ci rifacciamo la solita domanda: ma non è che la ricarica così veloce danneggia la batteria? A questa domanda non c’è una risposta chiara e univoca: in teoria sì, ma nella pratica no. Oppure viceversa: probabilmente no, ma c’è il rischio di sì.

I due problemi della ricarica super veloce

“Il processo di ricarica funziona facendo spostare gli ioni di litio dal polo positivo al polo negativo della batteria - ci ha ricordato Vittorio Pellegrini, ex direttore dei Graphene Labs di IIT e fra i fondatori della startup Be-Dimensional - Semplificando, questo movimento è reso possibile dalla corrente che immettiamo attraverso l’alimentatore, facendo salire il voltaggio sino al livello di picco (poco meno di 4V, ndr), dove resta stabile e poi cala nella parte finale del procedimento”. Ovviamente, più è potente il caricatore, più velocemente si arriva a 4V e più velocemente si completa la carica.

Il punto è che la batteria è chiusa, fisicamente piccola e sta all’interno di un oggetto fisicamente piccolo (perché gli smartphone li vogliamo sempre più ricchi di funzioni e però sempre più sottili), e questo crea un problema. Anzi, ne crea due: “Il primo problema è che il passaggio di corrente genera calore, e più è veloce, più ne genera - ci ha spiegato ancora Pellegrini, che in Italia è fra i massimi esperti sul tema - Il secondo riguarda l’elettrolita, il liquido che separa polo positivo e polo negativo, che in presenza di calore inizia a evaporare”. Solo che questo vapore non può andare da nessuna parte, appunto perché la batteria è chiusa ermeticamente: “In casi estremi, questo porta a un rigonfiamento della parte posteriore del telefono (è un po’ quello che nel 2016 succedeva ai Samsung Galaxy Note 7, ndr) e in più, col passare del tempo e a furia di evaporare, l’elettrolita si asciuga e finisce”. E quindi la batteria si rovina e perde efficacia.

Le due soluzioni per continuare a usarla

Stando così le cose, la risposta alla domanda iniziale sembra facile: il calore non fa bene alla batteria, la ricarica super veloce genera molto calore, allora la ricarica super veloce fa male e andrebbe evitata. È così? In realtà no, perché le aziende hanno trovato alcune soluzioni ai problemi: sono soprattutto due, e sembrano entrambe funzionare bene.

Innanzitutto, “molte aziende usano due batterie in parallelo, invece che una sola e più grande, così ognuna riceve metà dei watt di ricarica”, e dunque metà calore; è una buona soluzione, anche se non di facile realizzazione: “Serve spazio (e sappiamo che negli smartphone di spazio ce n’è poco, ndr) e servono batterie più sottili e meno ingombranti, ma comunque capaci”. L’altra possibilità è quella di gestire il calore esternamente alla batteria, portarglielo via o fare sì che gliene arrivi di meno: “L’ideale è costruirle o rivestirle di materiali con migliore conducibilità, attraverso cui la corrente passi più facilmente (dunque generando meno calore, ndr) - ci ha detto ancora Pellegrini - Un modo è coprirle con uno strato di vernice al grafene, che è un buon conduttore di calore e di elettricità e rende tutto il processo più efficiente”.

Va bene, ma come si fa a sapere se chi ha prodotto lo smartphone che vorremmo comprare ha usato uno di queste stratagemmi, oppure entrambi? È necessario leggere con attenzione la scheda tecnica, cercando in particolare il dato sui cicli di ricarica: “Lo standard del settore dice che se ne devono poter fare almeno 500 prima che la batteria degradi dal 100% all’80% delle sue capacità”. E visto che molte aziende ne garantiscono molti di più (come Xiaomi, che sugli alimentatori monstre insiste tanto), “possiamo stare relativamente tranquilli, anche perché ci sono anche molti controlli a livello software che gestiscono la quantità di corrente erogata dal caricatore e ricevuta dal telefono e circuiti interni che minimizzano eventuali effetti indesiderati”.

Il vero nemico: la ricarica a induzione

Sta ovviamente a noi consumatori valutare se i 500 cicli di ricarica promessi siano sufficienti per le nostre esigenze: ricaricando una volta al giorno, significa quasi un anno e mezzo di utilizzi senza problemi. Provando di nuovo a rispondere alla domanda iniziale: la ricarica super veloce non è di per sé un problema, ma potrebbe diventarlo in alcuni casi. Per esempio: se le ricariche al giorno fossero due, allora forse il discorso sulla durata nel tempo dello smartphone cambierebbe.

Una questione su cui invece sembrano esserci pochi dubbi riguarda il fatto che il vero nemico delle batterie è la ricarica a induzione, verso cui sempre più produttori (ci) stanno spingendo. Perché? “Dal punto di vista della ricarica, l’ideale è che la batteria sia il più possibile vicina allo 0, così che il voltaggio salga in modo costante”. Semplificando, se il livello di carica è basso, la batteria è nelle condizioni ideali per ricevere corrente: “Continuare ad attivare e interrompere il processo di ricarica, mettendo e togliendo ripetutamente il telefono dalla base, fa sì che il flusso di corrente in entrata sia altalenante”. Che è una cosa che non va bene.

E quindi che si fa? “Prima di ricaricare, meglio aspettare che l’autonomia residua scenda sotto il 15-20% - è il consiglio di Pellegrini - Ci saranno meno sbalzi e si correranno meno rischi”. Insomma: meglio ricaricare tutto in una volta, e va bene farlo anche in modo veloce o super veloce.

 

Scritto da Fabrizio Garavini
Categoria: Blog
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